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La Societologia è la scienza dei luoghi comuni, nasce infatti nelle piazze, nei bar, nelle sale d'aspetto, nei social network e in tutti i luoghi dove le relazioni umane intessono la loro collettiva e mutevole visione del mondo.

lacquacalda è un'osservatorio sulla salute sociale, tasta solo il polso, non prescrive medicine, non fa diagnosi, per cui è anch'esso sintomo di un male sociale: quello di voler parlare ad ogni costo anche quando non si ha nulla da dire.

Lezione di Archeologia inversa, ovvero come seppellire ciò che è stato scoperto



Estremamente breve e travagliata
 è la vita di coloro che dimenticano il passato,
 trascurano il presente, temono il futuro:
 giunti al momento estremo,
 tardi comprendono di essere stati
 occupati tanto tempo senza concludere nulla.
(Seneca)

In Italia la figura dello psicologo del lavoro è spesso identificata in colui che svolge la selezione del personale, tale semplificazione è dovuta ad un effettivo utilizzo limitato di tale professione, messa molto spesso a mezzo servizio piuttosto che sfruttarne a pieno il potenziale, al fine di offrire letture alternative ai problemi relativi alla gestione e all’organizzazione aziendale . Nei rari casi in cui uno psicologo del lavoro mette bocca a prassi, metodi, modi, stili direttivi e organizzativi, viene messo a tacere con un tecnico “lei non sa di cosa sta parlando”. Ebbene, vorrei rivelare in questa sede che la maggior parte degli psicologi del lavoro sa perfettamente di cosa sta parlando e lo sa alla luce del fatto che ha passato molto tempo a studiare come l’uomo ha adattato sè stesso e la società al mondo del lavoro, dall’epoca della rivoluzione industriale in poi, in oltre conosce gli errori del passato e le eventuali scoperte ed evoluzioni in campo organizzativo e gestionale delle risorse umane e, come farebbe uno  storico, difficilmente riesce ad apprezzare un passo indietro rispetto ai faticosi progressi  raggiunti grazie all’esperienza sul campo di grandi imprenditori, sociologi e scienziati. Sono queste le ragioni per cui da adesso in poi rivolgerò questi miei piccoli interventi ai dirigenti:
Egregi Dirigenti,
se vi capitasse sottomano questa rivista e se i vostri impegni vi permettessero di dedicarvi una minima attenzione, vorrei raccontarvi che cosa scoprì Elton Mayo, nel 1924,  presso gli stabilimenti Hawthorne della Western Electric di  Chicago: l’esimio sociologo fu chiamato dalla dirigenza, assieme ad uno staff di ricerca dell’Università di Havard, per studiare un metodo che facesse lavorare di più e meglio i dipendenti: in un primo momento teorizzò che il clima aziendale fosse direttamente influenzato da fattori ambientali “fisici”, tipo l’illuminazione, così applicò vari gradi di luminosità alle stanze “da molto  luminoso a crepuscolare”  ma con grande sorpresa, sua e dei ricercatori, osservò che i lavoratori non mutavano la loro produttività al mutare della luce; anche altre manipolazioni di simile natura non diedero alcun esito, si notò invece un iniziale miglioramento delle performance dei dipendenti che erano a conoscenza della presenza degli scienziati in fabbrica e che per tale ragione avvertivano un senso di “controllo”, ma anche tale effetto risultò destinato a rientrare col perdurare della condizione. Si decise allora di cambiare drasticamente rotta e di concentrarsi sui contenuti umani e sociali del lavoro e in breve si scoprì che  nei gruppi operativi dove intercorrevano maggiori relazioni amicali, dove il capo era assertivo, disponibile all’ascolto e alla collaborazione, dove i dipendenti percepivano un senso di stima e di fiducia nei loro riguardi e dove si operava con un maggior livello di collaborazione, il grado di produttività era maggiore. Possiamo definire l’esperienza alla Western Electric come la scoperta dell’acqua calda ma, finché nessuno apriva il rubinetto col cerchietto rosso, ci si sarebbe continuati a lavare con quella fredda.
La conclusione a cui giunse Mayo fu che, più di qualsiasi altro fattore, influiva sulla produttività l’atteggiamento positivo che l’individuo nutriva nei riguardi del lavoro, atteggiamento a sua volta direttamente influenzato dalle condizioni “emotive”  che  determinate dal grado di solidarietà tra colleghi, incentivato e sostenuto da leader assertivi disponibili al confronto, alla comunicazione e alla gratificazione diretta dei subordinati. Ecco cosa si intende per “clima aziendale positivo”. Non vorrei dilungarmi troppo, dal momento che mi sto rivolgendo a Voi, Distinti Dirigenti e so quanto il Vostro tempo sia prezioso,  ma ci tengo a sottolineare che il contrario di un clima aziendale positivo è: scarsa comunicazione e collaborazione tra colleghi, spirito competitivo, pressioni verso un aumento di produzione senza adeguati strumenti di motivazione, insufficiente formazione, leadership autoritaria sanzionante, ricattatoria e non incline alla comunicazione e al confronto.
Il modo migliore per diminuire la produttività è  demotivare il personale e il modo migliore per demotivare il personale e fargli odiare il proprio lavoro. Queste sono le ragioni per cui, io che sono solo una psicologa  e non so di cosa sto parlando, mi chiedo sempre più spesso  a chi giovi l’utilizzo di determinate politiche aziendali e che fine ha fatto un intero secolo trascorso a comprovare che una persona felice lavora meglio.
 Nel 1945, a seguito della seconda guerra mondiale, Mayo scriveva così: […] se le nostre capacità sociali fossero progredite allo stesso ritmo delle nostre capacità tecniche non ci sarebbe stato un secondo conflitto bellico […] non possiamo vivere e prosperare con un piede nel XX secolo e l’altro nel XVIII.[1]
Distinti Dirigenti, domando a voi e alla vostra personale e valida esperienza: possiamo pensare di uscire dalla crisi con un piede nel XXI secolo e l’altro ancora nel XVIII? Si può ancora sperare in un cambiamento che non sia una costante sottrazione? Ha ancora senso pensare ad un lavoro umano e ad un essere umano che lavora? E’ tempo di riscoprire l’acqua calda?
Come sempre è più facile fare delle domande che dare delle risposte e personalmente di risposta ne ho una sola: se ci si continua a lavare con l’acqua fredda prima o poi ci si busca un brutto raffreddore. 

Elena Pascolini,  Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni



[1] Tratto da  I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, Mayo E. ed.italiana Utet Torino 1965

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