Lo stress non è altro che una forma socialmente accettabile di malattia
mentale.
Richard Carlson
Non tutti sanno che il termine
“stress” deriva dall’operazione di collaudo dei metalli in fabbrica, tramite la
quale si sottopongono i materiali ad estreme pressioni per individuarne il
punto di rottura.
Il punto di rottura di un essere umano avviene
pressappoco per il medesimo processo,
ossia a causa di pressioni costanti e superiori a quelle che l’organismo
considera tollerabili.
Non posso fare a meno di
chiedermi come mai, in risposta al Decreto Legislativo 81/2008 e seguente
esaustive indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, promosso
dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nel 2010, si stia assistendo
ad una inversione di marcia che azzera anni di studi e di buon senso. Se devo
cercare una risposta sono costretta a farlo nella tradizionale tendenza
italiana a trovare scappatoie pseudo legali ad ogni forma di legale impegno: il documento identifica due livelli di
valutazione, se il primo non fornisce elementi di rischio da stress da lavoro
correlato, l’azienda può limitarsi ad un’attività di monitoraggio e dirsi
“felice”, altrimenti dovrà impegnarsi in una serie di misure quali interventi organizzativi, formativi e tecnici atti a
migliorare il clima aziendale e il
benessere percepito e se, anche tali azioni, ad un nuovo esame, risultassero
vane, si procederebbe ad un ulteriore approfondimento in una seconda fase che,
come nelle favole, coinvolgerebbe direttamente il personale, sia nella descrizione dei fattori di disagio che
nell’elaborazione di nuove strategie verso la strada della felicità.
Sapremo come è andata a finire
solo dopo dicembre del 2012, termine
ultimo entro il quale le aziende dovranno presentare i risultati , ma nel
frattempo possiamo dare spazio all’immaginazione partendo dai criteri con i
quali si supera il primo livello;
secondo le indicazioni della Commissione
Consultiva, in ogni azienda è necessario valutare:
I.
Eventi sentinella quali ad esempio: indici
infortunistici; assenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni e
segnalazioni del medico competente da valutarsi anche sulla base di parametri
omogenei individuati internamente alla azienda (es. variazione nel tempo degli
indici infortunistici rilevati in azienda).
II.
Fattori di contenuto del lavoro quali ad
esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario
di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i
requisiti professionali richiesti.
III.
Fattori di contesto del lavoro quali ad esempio:
ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo;
conflitti interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di carriera;
incertezza in ordine alle prestazioni richieste.
La valutazione avviene attraverso raccolta dati diretta e check-list.
Comprensibilmente, in un
periodo di crisi come questo, i dirigenti azindali sbufferanno non poco di
fronte a questa nuova complicata invenzione, in più, nel caso in cui la
verifica dovesse dare esiti nefasti, andrebbero incontro a nuovi costi, nuove perdite di tempo
e addirittura a sanzioni. Come ovviare a tutti i problemi che la valutazione
dello stress da lavoro correlato comporta? Un metodo efficace, almeno nel breve
termine, c’è: è la paura, il ricatto e
la diffusione del senso di incertezza:
hai
un lavoro? Guarda come sta andando il mondo e pensaci bene prima di lamentarti,
pensaci bene prima di metterti in malattia, pensaci bene prima di segnarti
puntigliosamente tutti gli straordinari che fai, pensaci bene prima di mettere
le crocette sui questionari, poi al tuo stress ci pensa bene l’azienda.
Ricordiamo che condizioni
stressanti protratte nel tempo sono la principale causa dell’insorgenza di
malattie psicosomatiche e, anche se ritengo non sia necessario, precisiamo una
volta per tutte che una malattia psicosomatica non è una “malattia immaginaria”
ma una vera e propria patologia diagnosticabile, la cui causa è da ricercarsi
nell’ambiente psico- sociale del
soggetto: al cessare dello stimolo stressante (stressor) i sintomi migliorano o
regrediscono, tranne nei casi in cui si sia raggiunto il “punto di rottura”,
oltre il quale la malattia assume aspetto cronico. Evidentemente l’intento del
relatore del Decreto Legislativo 81/2008 è finalizzata a prevedere le malattie
psicosomatiche derivate dalla natura e dall’ambiente di lavoro ma difficilmente
identificabili in malattie professionali, in quanto non direttamente correlate
a fatti evidenti, come spesso accade per le professioni impiegatizie. Anni di
ricerche e studi da parte dell’INAIL e di altri enti preposti alla valutazione
dei rischi, hanno confermato la difficoltà nel riconoscere e definire l’ambito
psicosomatico, concludendo che l’approccio preventivo sia l’unica misura
seriamente efficace nel lungo termine: l’idea
del monitoraggio obbligatorio per misurare lo stress negli ambienti di lavoro, nasce
da tali saggi presupposti ma il rischio
è che, mentre da un lato si tenta con strumenti giuridici e tecnici di
tamponare l’insorgenza di malattie e i relativi costi che esse procurano
all’azienda, allo stato e al soggetto, dall’altro, la stessa azienda, favorita da
un’atmosfera satura di incertezza e compromessi, tenta
di convincere il lavoratore che non è poi così malato….
Ovviamente sto dando sfogo alla
mia fantasia perché nessuno potrà mai confermare queste mie congetture, meno
che mai il responso futuro dei risultati che
forniranno le aziende, anzi,
molto probabilmente ci stupirà la buona notizia che non siamo
assolutamente stressati e che i nostri climi aziendali sono più vicini alle
Canarie che al Polo Nord. E’ probabile
anche che io stia commettendo un altro grave errore nell’attribuire condotte pressorie
e ricattatorie a dirigenti d’azienda che hanno collezionato esperienze e
formazione tali da capire che, se muore l’asino, prima o poi muore anche il
mugnaio.
Elena Pascolini
Psicologa del Lavoro e delle
Organizzazioni
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