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La Societologia è la scienza dei luoghi comuni, nasce infatti nelle piazze, nei bar, nelle sale d'aspetto, nei social network e in tutti i luoghi dove le relazioni umane intessono la loro collettiva e mutevole visione del mondo.

lacquacalda è un'osservatorio sulla salute sociale, tasta solo il polso, non prescrive medicine, non fa diagnosi, per cui è anch'esso sintomo di un male sociale: quello di voler parlare ad ogni costo anche quando non si ha nulla da dire.

La crisi del 100esimo anno


Le parole sono importanti! (Nanni Moretti)



Se durante una cena chiedessimo il sale e ci venisse offerto  l’olio  e ad una  nostra rimostranza ci venisse detto che tanto olio e sale sono la stessa cosa, quale sarebbe la nostra reazione?
Molto probabilmente risponderemo con un sollecito ad  esaudire correttamente il nostro desiderio o, se fossimo  particolarmente timidi, ci terremo l’olio ma non per questo lo useremo al posto del sale convinti che abbia lo stesso sapore.
Ecco perché le parole sono importanti: perché ad ognuna corrisponde  un oggetto, un sentimento, un’ istanza, un carattere, una qualità, uno stato emotivo.
L’italiano è una lingua complessa, che comprende più di 250.000 lessemi   e nonostante il  parlato comune stia subendo un evidente impoverimento, resta comunque una delle lingue con maggiori sfumature e conseguenti possibilità di espressione;  migliore è la nostra dominanza dei termini e del loro significato, migliore sarà la nostra capacità di trasmettere contenuti complessi, ma soprattutto di comprenderli a nostra volta. E’ una caratteristica del tutto umana a cui raramente si pensa: il nostra linguaggio e il nostro universo simbolico sono la stessa cosa e solo l’essere umano può vantare tale eccellenza e tale possibilità di comprensione del mondo circostante. Ciò è molto importante soprattutto quando impariamo, dalla prima infanzia, a dare un nome alle nostre emozioni, più il nostro vocabolario aumenta, più aumenterà la capacità di distinguere gli stati interni; dalle  embrionali dualità  buono/cattivo, bello/brutto, triste/allegro che contraddistinguono il pensiero infantile e primitivo,  l’essere umano raggiunge, parallelamente all’evoluzione del linguaggio,  anche una comprensione sempre più raffinata dei sentimenti e degli stati emotivi, suoi e del prossimo; quanto più  vario e dettagliato sarà il nostro vocabolario, tanto maggiore sarà la possibilità di descrivere e distinguere ciò che proviamo come  la rabbia, il disappunto, la vergogna, la nostalgia, l’orgoglio, l’ amarezza, l’ euforia, la contrarietà, la delusione, l’entusiasmo  ecc.
La complessità del linguaggio al nostro mondo, interno ed esterno, infinite possibilità che le dualità bello/brutto, buono/cattivo/ giusto/sbagliato non riescono a rendere, per questo mi rammarico quando sento qualcuno dire che per lui esiste solo il bianco o il nero, in quanto chi non coglie le sfumature delle cose rinuncia già in partenza al tentativo di comprenderle.
Ci sono parole che in particolari periodi o congiunzioni storiche divengono  eccessivamente ricorrenti, tanto da essere quotidianamente presenti nella nostra vita, al punto tale da influenzarla. La parola crisi sta subendo questo abuso con il rischio di trascendere il suo significato. Qui di seguito si può leggere la definizione che ne da il Sabatini Coletti, Dizionario della Lingua Italiana
crisi
[crì-si] s.f. inv.
·         1 Deterioramento di una condizione oggettiva con conseguente instabilità socio-politica e decadenza delle istituzioni civili; turbamento della pacifica convivenza, della vita in comune: c. internazionale || c. di governo, cessazione del governo in seguito a dimissioni o a un voto di sfiducia
·         2 Periodo caratterizzato da una caduta della produzione, da disoccupazione, scarsa utilizzazione degli impianti, riduzione degli investimenti SIN recessione
·         3 Incrinatura di un rapporto, interruzione della precedente armonia: una coppia in c.
·         4 Sconvolgimento dell'assetto interiore di un individuo SINinquietudinesmarrimentoc. di coscienzapassare un momento di c.
·         5 med. Cambiamento improvviso nel decorso di una malattia; estens. fase acuta di una malattia: c. diabetica; scoppio di uno stato emotivo: c. di pianto

Si deduce che il termine crisi denota una situazione transitoria, anche quando si riferisce ad una congiuntura economica negativa o ad un particolare momento storico.
 L’eccessivo riferimento dei media ad uno stato di  crisi  induce la costante speranza ed attesa di un ritorno di stabilità, identificato nello stato di maggior benessere precedente. In effetti non è così per due ragioni:  la prima è che il periodo corrente è eccessivamente lungo per essere definito crisi, la crisi è probabilmente già avvenuta, ora siamo in una nuova fase del tutto diversa dalla precedente e probabilmente destinata a perdurare;  la seconda è che l’episodio di crisi  necessita di un cambiamento da parte del sistema per premette un nuovo equilibrio. Il ridondare di questo termine, soprattutto ad opera delle istituzioni di governo, fa si che le persone vivano l’illusione di un momento di passaggio, anomalo ed eccezionale, destinato a rientrare spontaneamente, senza che il sistema applichi particolari mutazioni. Può una parola ingannare le masse? Assolutamente si, al punto da determinare uno stallo sia psicologico che reale, molto spesso favorevole ad una  minoranza che non ha alcun interesse ad attuare un cambiamento in quanto pregiudicherebbe status,   privilegi e prassi, spesso dannose e antieconomiche per tutti gli altri tranne che per loro. Il cambiamento necessario per raggiungere un rinnovato equilibrio dovrebbe partire dalla necessità di una rivoluzione culturale che riporti la sopravvivenza e la dignità dell’essere umano al primo posto rispetto alle esigenze di mercato e di ricchezza di una minoranza. Tale minoranza non è ancora del tutto cosciente di essere anch’essa ormai destinata al tracollo in vista dell’esaurimento delle risorse e dell’impoverimento della massa che è stata, sin ora,  il motore principale dell’ economia di mercato e la fonte reddituale della classe dirigente: in poche parole il sistema ha mangiato sé stesso impoverendo la stessa fonte di cui si nutriva e senza gente che compra e paga le tasse è destinato irrimediabilmente al collasso.
Si chiede alle persone di fare sacrifici ma non di modificare la loro visione del mondo e delle cose, si dice di stringere i denti, di sopportare, ma non si  dice che probabilmente questa sopportazione durerà per tutta la loro vita  e per molte generazioni  successive, si pensa a come salvare un’ economia già morta ma non si pensa da dove far nascere quella nuova, si toglie potere d’acquisto e si continua ad immettere beni nel mercato come se tutto fossimo in pieno boom economico, si coltiva l’idea che se sei povero è colpa tua perché non sei abbastanza furbo (sottolineo furbo, perché in Italia la furbizia è un pregio, l’intelligenza è un fardello) .
La verità è che non siamo in crisi, semplicemente siamo diversi, siamo cambiati, se fossimo una coppia potremmo serenamente dirci che non ci amiamo più, se fossimo un malato dovremmo affermare di essere sopravvissuti al male grazie ad un’amputazione, se fossimo  un periodo dovremmo chiamarlo o Terza rivoluzione industriale o Post Capitalismo a seconda se volessimo virare verso l’ottimismo o verso l’incognita. Nessuno osa dare un nome a quest’epoca perché già, il solo chiamarla diversamente, non giustificherebbe più  questo stato di immobilità,  senza rivoluzioni e senza trasformazioni, congelati in una brutta posa nella foto ricordo di ciò che eravamo.
La parola tormentone da sostituire a crisi dovrebbe essere cambiamento, ma non piace a nessuno, neppure a quelli che cambiando starebbero meglio, figuriamoci a chi starebbe sicuramente peggio.

Riferimenti bibliografici
Processi simbolici e dinamiche sociali  Augusto Palmonari (ed. Il Mulino 1995)
La terza rivoluzione industriale Jeremy Rifkin (ed. Mondadori, 2011)
Elena Pascolini


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