Le parole
sono importanti! (Nanni Moretti)
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Se
durante una cena chiedessimo il sale e ci venisse offerto l’olio
e ad una nostra rimostranza ci
venisse detto che tanto olio e sale sono la stessa cosa, quale sarebbe la
nostra reazione?
Molto
probabilmente risponderemo con un sollecito ad
esaudire correttamente il nostro desiderio o, se fossimo particolarmente timidi, ci terremo l’olio ma
non per questo lo useremo al posto del sale convinti che abbia lo stesso sapore.
Ecco
perché le parole sono importanti: perché ad ognuna corrisponde un oggetto, un sentimento, un’ istanza, un
carattere, una qualità, uno stato emotivo.
L’italiano
è una lingua complessa, che comprende più di 250.000 lessemi e nonostante il parlato comune stia subendo un evidente
impoverimento, resta comunque una delle lingue con maggiori sfumature e conseguenti
possibilità di espressione; migliore è
la nostra dominanza dei termini e del loro significato, migliore sarà la nostra
capacità di trasmettere contenuti complessi, ma soprattutto di comprenderli a nostra
volta. E’ una caratteristica del tutto umana a cui raramente si pensa: il
nostra linguaggio e il nostro universo simbolico sono la stessa cosa e solo l’essere
umano può vantare tale eccellenza e tale possibilità di comprensione del mondo
circostante. Ciò è molto importante soprattutto quando impariamo, dalla prima
infanzia, a dare un nome alle nostre emozioni, più il nostro vocabolario
aumenta, più aumenterà la capacità di distinguere gli stati interni; dalle embrionali dualità buono/cattivo, bello/brutto, triste/allegro che
contraddistinguono il pensiero infantile e primitivo, l’essere umano raggiunge, parallelamente
all’evoluzione del linguaggio, anche una
comprensione sempre più raffinata dei sentimenti e degli stati emotivi, suoi e
del prossimo; quanto più vario e
dettagliato sarà il nostro vocabolario, tanto maggiore sarà la possibilità di
descrivere e distinguere ciò che proviamo come
la rabbia, il disappunto, la vergogna, la nostalgia, l’orgoglio, l’
amarezza, l’ euforia, la contrarietà, la delusione, l’entusiasmo ecc.
La complessità del linguaggio dà al nostro mondo, interno ed esterno, infinite
possibilità che le dualità bello/brutto, buono/cattivo/ giusto/sbagliato non riescono
a rendere, per questo mi rammarico quando sento qualcuno dire che per lui
esiste solo il bianco o il nero, in quanto chi non coglie le sfumature delle
cose rinuncia già in partenza al tentativo di comprenderle.
Ci sono parole che in particolari periodi o congiunzioni
storiche divengono eccessivamente
ricorrenti, tanto da essere quotidianamente presenti nella nostra vita, al
punto tale da influenzarla. La parola crisi
sta subendo questo abuso con il rischio di trascendere il suo significato.
Qui di seguito si può leggere la definizione che ne da il Sabatini Coletti,
Dizionario della Lingua Italiana
crisi
[crì-si] s.f. inv.
·
1 Deterioramento di una condizione oggettiva con
conseguente instabilità socio-politica e decadenza delle istituzioni civili;
turbamento della pacifica convivenza, della vita in comune: c. internazionale || c.
di governo, cessazione del governo in seguito a dimissioni o a un voto di
sfiducia
·
2 Periodo caratterizzato da una caduta della
produzione, da disoccupazione, scarsa utilizzazione degli impianti, riduzione
degli investimenti SIN recessione
·
3 Incrinatura di un rapporto, interruzione della
precedente armonia: una coppia in c.
·
4 Sconvolgimento dell'assetto interiore di un
individuo SINinquietudine, smarrimento: c. di coscienza; passare un momento di c.
·
5 med. Cambiamento improvviso nel decorso di una
malattia; estens. fase
acuta di una malattia: c. diabetica; scoppio di uno stato emotivo: c. di pianto
Si deduce che il termine crisi denota una situazione
transitoria, anche quando si riferisce ad una congiuntura economica negativa o
ad un particolare momento storico.
L’eccessivo
riferimento dei media ad uno stato di
crisi induce la costante speranza
ed attesa di un ritorno di stabilità, identificato nello stato di maggior
benessere precedente. In effetti non è così per due ragioni: la prima è che il periodo corrente è
eccessivamente lungo per essere definito crisi, la crisi è probabilmente già
avvenuta, ora siamo in una nuova fase del tutto diversa dalla precedente e
probabilmente destinata a perdurare; la
seconda è che l’episodio di crisi
necessita di un cambiamento da parte del sistema per premette un nuovo
equilibrio. Il ridondare di questo termine, soprattutto ad opera delle
istituzioni di governo, fa si che le persone vivano l’illusione di un momento
di passaggio, anomalo ed eccezionale, destinato a rientrare spontaneamente,
senza che il sistema applichi particolari mutazioni. Può una parola ingannare
le masse? Assolutamente si, al punto da determinare uno stallo sia psicologico
che reale, molto spesso favorevole ad una minoranza che non ha alcun interesse ad attuare
un cambiamento in quanto pregiudicherebbe status, privilegi e prassi, spesso dannose e
antieconomiche per tutti gli altri tranne che per loro. Il cambiamento
necessario per raggiungere un rinnovato equilibrio dovrebbe partire dalla
necessità di una rivoluzione culturale che riporti la sopravvivenza e la
dignità dell’essere umano al primo posto rispetto alle esigenze di mercato e di
ricchezza di una minoranza. Tale minoranza non è ancora del tutto cosciente di
essere anch’essa ormai destinata al tracollo in vista dell’esaurimento delle
risorse e dell’impoverimento della massa che è stata, sin ora, il motore principale dell’ economia di
mercato e la fonte reddituale della classe dirigente: in poche parole il
sistema ha mangiato sé stesso impoverendo la stessa fonte di cui si nutriva e senza
gente che compra e paga le tasse è destinato irrimediabilmente al collasso.
Si chiede alle persone di fare sacrifici ma non di modificare
la loro visione del mondo e delle cose, si dice di stringere i denti, di
sopportare, ma non si dice che
probabilmente questa sopportazione durerà per tutta la loro vita e per molte generazioni successive, si pensa a come salvare un’
economia già morta ma non si pensa da dove far nascere quella nuova, si toglie
potere d’acquisto e si continua ad immettere beni nel mercato come se tutto
fossimo in pieno boom economico, si coltiva l’idea che se sei povero è colpa
tua perché non sei abbastanza furbo (sottolineo furbo, perché in Italia la furbizia è un pregio, l’intelligenza è
un fardello) .
La verità è che non siamo in crisi, semplicemente siamo
diversi, siamo cambiati, se fossimo una coppia potremmo serenamente dirci che
non ci amiamo più, se fossimo un malato dovremmo affermare di essere
sopravvissuti al male grazie ad un’amputazione, se fossimo un periodo dovremmo chiamarlo o Terza rivoluzione industriale o Post Capitalismo a seconda se volessimo
virare verso l’ottimismo o verso l’incognita. Nessuno osa dare un nome a
quest’epoca perché già, il solo chiamarla diversamente, non giustificherebbe
più questo stato di immobilità, senza rivoluzioni e senza trasformazioni,
congelati in una brutta posa nella foto ricordo di ciò che eravamo.
La parola tormentone da sostituire a crisi dovrebbe essere cambiamento,
ma non piace a nessuno, neppure a quelli che cambiando starebbero meglio,
figuriamoci a chi starebbe sicuramente peggio.
Riferimenti bibliografici
Processi simbolici e dinamiche sociali Augusto Palmonari (ed. Il Mulino 1995)
Elena Pascolini
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