Attribuiamo importanza a
questa o a quella cosa per poter credere che in questa vita arida e desolata
esista qualcosa d'importante.
Joan
Fuster, Giudizi
finali, 1960/68
Cari amici che avete ancora la pazienza di leggermi mi chiedo se avete
la stessa pazienza nel tollerare chi vi dice che ci sono cose più importanti -
“di cosa?” - Vi chiederete: di qualsiasi
cosa che per voi, in un dato momento, risulti particolarmente importante; vi
lamentate del vostro raffreddore? Ci sono cose più importanti.
Il vostro migliore amico vi ha deluso ? Ci sono cose più importanti. Il
vostro capo vi stressa. Ci sono cose più importanti. Siete stati licenziati? Ci
sono cose più importanti. Siete in punto di morte? Ci sono cose più importanti.
A quest’affermazione segue spesso l’esempio, il saggetto, il compendio
su cosa in effetti sia degno di attenzione e quasi sempre risulta essere un
problema di portata universale irrisolvibile o una faccenda assolutamente irrilevante per voi ma intollerabile per il vostro
interlocutore. questo fenomeno è una parte della pragmatica
della comunicazione e anche se non ne afferriamo immediatamente l’utilità è un
elemento del discorso, nello specifico
una perlocuzione, ossia una frase in risposta ad un’altra che permette, in una
sorta di partita al rilancio, di esprimere le proprie opinioni e descrivere il
proprio parere attraverso atti linguistici sintetici, ossia saltando tutti i
passaggi che sarebbero necessari per arrivare al dunque. Lo spiego con un
esempio:
Pino dice a Gino: bisogna dire alla direzione che è
intollerabile che la macchinetta del
caffè funzioni un giorno si e uno no
Gino, che non beve il caffè ma
che ha da poco ricevuto un richiamo perché posta gattini su facebook
nell’orario di lavoro, risponde: ci sono
cose più importanti, ad esempio è inammissibile che con tutte le ore di
straordinario non pagate e il lavoro da schiavi che facciamo qua dentro non ci
permettano di usare la rete, non usare la rete nel 2014 significa usare la
clava quando gli latri usano la pistola a laser
Pino che per imparare a
scrivere una e-mail è andato a lezione dal nipote a la prima e ultima volta che
è entrato in internet ha comprato per sbaglio e un modellino del duomo di
Milano fatto di fiammiferi ma che,
nonostante una leggera ipertensione, non
vive senza caffè, risponde: credo che sia
più importante, in linea di principio, garantire un livello minimo di benessere
ai lavoratori, almeno in quel poco di
pausa che hanno, si comincia da queste piccole negazioni quotidiane e ci si
ritrova senza i diritti basilari, il discorso della rete mi sembra oltremodo
secondario.
Gino che passerebbe volentieri,
non dico tutte le ora lavorative, ma almeno
la pausa caffè a sostenere la causa dei gattini su facebook, rilancia: tu non capisci che la pausa caffè
rappresenta il controllo da parte del potere
sull’utilizzo del tuo tempo, mentre la
rete rappresenta la libertà di informazione e pensiero e negare l’accesso in
internet equivale a metterti in galera!
La discussione continua per
tutta la pausa, tanto la macchinetta è rotta e a Gino hanno messo i blocchi al computer. In questo genere di
conversazioni il finale è pressoché lo
stesso, nessuno convince l’altro della bontà della propria causa e nessuno
trova un alleato alla sua protesta, per cui niente cambierà ma entrambe le
parti avranno avuto modo di sfogare il loro personale malcontento con la velata
speranza di usare l’energia innovatrice dell’altro per risolvere il proprio
problema, in pratica il messaggio reale era: se hai
voglia di darti da fare per qualcosa datti da fare per una cosa che interessa a
me. Niente di male in tutto ciò, solo la prassi quotidiana della maggior
parte delle nostre conversazioni, che nonostante la loro apparente inutilità ci
tengono uniti e favoriscono l‘aggregazione e lo scambio sociale che, come detto
più volte, ha necessità di luoghi comuni più che di terre estranee e
inesplorate.
Il problema, come sempre, è quando dal piano
informale e privato si passa a quello formale e pubblico: il fenomeno in
questione è talmente esteso e frequente
che è stato coniato un termine per definirlo: benaltrismo[1] .
Il benaltrismo è lo strumento dialettico
attraverso il quale si afferma che c’è sempre qualcosa di più importante,
grave, urgente, rilevante di cui occuparsi: lo scopo essenziale di questo
modello comunicativo, assai abusato in politica e da numerosi personaggi che
detengono ruoli decisionali e di potere, è quello di distogliere nell’immediato
l’attenzione dai problemi per i quali
non si hanno strumenti, intenzione e
interesse a trovare una soluzione. Il benaltrismo
raggiunge ottimi livelli di gestione delle masse nel momento in cui riesce, non
solo a distrarre, ma anche a creare dei veri e propri movimenti a favore del
“ben altro”, come se Pino avesse convinto Gino a fare sciopero per il suo caffè
nonostante lui non lo bevesse . Nei contesti professionali viene adoperato per
screditare la protesta e l’attività sindacale o per disaggregare i lavoratori
che tendono ad unirsi in nome di una problematica ritenuta scomoda e se non si arriva alla
strumentalizzazione estrema sopra descritta è
facile che si arrivi alla stasi o all’eterna procrastinazione di un' azione reale. La forza di metodo sta nel fatto che ci sarà sempre ben altro a
cui pensare e che al “c’è di peggio” non c’è fine, come non c’è limite
all’escogitare qualcosa che sia sempre e comunque più importante di te, di me,
delle nostre vite, se serve a migliorare la vita di qualcun altro.
Di esempi in questo caso ce ne
sono davvero troppi e per par condicio mi astengo dal riportarli, lascio a voi
cari pazienti lettori il gusto di smascherare i benaltristi e non avreste
tutti i torti nel caso mi rispondiate
che ci sono cose più importanti a cui pensare.
Elena Pascolini
[1] La
definizione che da il Dizionario di Italiano Garzanti è: Il termine benaltrismo, di cui il suffisso ismo identifica la dimensione di teoria e
ideologia, è un neologismo coniato nell’ambito del linguaggio politico italiano
a partire dall’espressione colloquiale “ci
vuole ben altro”. Si tratta dell’atteggiamento (o della
teorizzazione vera e propria) di chi tende a collocare l’origine e la soluzione
di un problema “al di fuori” del discorso che si sta affrontando, in un ambito
diverso rispetto a quello di discussione. Benaltrismo è dunque quello di chi, a
fronte di proposte che vengono fatte, afferma “ci vuole ben altro”; ma è anche
quello di chi, quando viene sollevata un critica, sostiene che “i problemi sono ben altri.
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