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La Societologia è la scienza dei luoghi comuni, nasce infatti nelle piazze, nei bar, nelle sale d'aspetto, nei social network e in tutti i luoghi dove le relazioni umane intessono la loro collettiva e mutevole visione del mondo.

lacquacalda è un'osservatorio sulla salute sociale, tasta solo il polso, non prescrive medicine, non fa diagnosi, per cui è anch'esso sintomo di un male sociale: quello di voler parlare ad ogni costo anche quando non si ha nulla da dire.

La rivoluzione della pausa caffè


 
Attribuiamo importanza a questa o a quella cosa per poter credere che in questa vita arida e desolata esista qualcosa d'importante.
Joan Fuster, Giudizi finali, 1960/68


Cari amici che avete ancora  la pazienza di leggermi mi chiedo se avete la stessa pazienza nel tollerare chi vi dice che ci sono cose più importanti - “di cosa?” - Vi chiederete:  di qualsiasi cosa che per voi, in un dato momento, risulti particolarmente importante; vi lamentate del vostro raffreddore? Ci sono cose più  importanti.  Il vostro migliore amico vi ha deluso ? Ci sono cose più importanti. Il vostro capo vi stressa. Ci sono cose più importanti. Siete stati licenziati? Ci sono cose più importanti. Siete in punto di morte? Ci sono cose più importanti.  A quest’affermazione segue  spesso l’esempio, il saggetto, il compendio su cosa in effetti sia degno di attenzione e quasi sempre risulta essere un problema di portata universale irrisolvibile   o una faccenda  assolutamente irrilevante per  voi ma intollerabile per il vostro interlocutore.  questo fenomeno è una parte della pragmatica della comunicazione e anche se non ne afferriamo immediatamente l’utilità è un elemento del  discorso, nello specifico una  perlocuzione, ossia una frase  in risposta ad un’altra che permette, in una sorta di partita al rilancio, di esprimere le proprie opinioni e descrivere il proprio parere attraverso atti linguistici sintetici, ossia saltando tutti i passaggi che sarebbero necessari per arrivare al dunque. Lo spiego con un esempio:
Pino dice a Gino: bisogna dire alla direzione che è intollerabile  che la macchinetta del caffè funzioni un giorno si e uno no
Gino, che non beve il caffè ma che ha da poco ricevuto un richiamo perché posta gattini su facebook nell’orario di lavoro, risponde: ci sono cose più importanti, ad esempio è inammissibile che con tutte le ore di straordinario non pagate e il lavoro da schiavi che facciamo qua dentro non ci permettano di usare la rete, non usare la rete nel 2014 significa usare la clava quando gli latri usano la pistola a laser
Pino che per imparare a scrivere una e-mail è andato a lezione dal nipote a la prima e ultima volta che è entrato  in internet  ha comprato per sbaglio  e un modellino del duomo di Milano fatto di fiammiferi  ma che, nonostante una leggera ipertensione,  non vive senza caffè, risponde: credo che sia più importante, in linea di principio, garantire un livello minimo di benessere ai lavoratori,  almeno in quel poco di pausa che hanno, si comincia da queste piccole negazioni quotidiane e ci si ritrova senza i diritti basilari, il discorso della rete mi sembra oltremodo secondario.   
Gino che passerebbe volentieri,  non dico tutte le ora lavorative, ma almeno la pausa caffè a sostenere la causa dei gattini su facebook, rilancia: tu non capisci che la pausa caffè rappresenta il controllo  da parte del potere sull’utilizzo del tuo tempo,  mentre la rete rappresenta la libertà di informazione e pensiero e negare l’accesso in internet equivale a metterti in galera!
La discussione continua per tutta la pausa, tanto la macchinetta è rotta e a Gino hanno messo  i blocchi al computer. In questo genere di conversazioni  il finale è pressoché lo stesso, nessuno convince l’altro della bontà della propria causa e nessuno trova un alleato alla sua protesta, per cui niente cambierà ma entrambe le parti avranno avuto modo di sfogare il loro personale malcontento con la velata speranza di usare l’energia innovatrice dell’altro per risolvere il proprio problema, in pratica il messaggio reale era:  se hai voglia di darti da fare per qualcosa datti da fare per una cosa che interessa a me. Niente di male in tutto ciò, solo la prassi quotidiana della maggior parte delle nostre conversazioni, che nonostante la loro apparente inutilità ci tengono uniti e favoriscono l‘aggregazione e lo scambio sociale che, come detto più volte, ha necessità di luoghi comuni più che di terre estranee e inesplorate.
 Il problema, come sempre, è quando dal piano informale e privato si passa a quello formale e pubblico: il fenomeno in questione è talmente esteso e  frequente che è stato coniato un termine per definirlo: benaltrismo[1] .

Il benaltrismo  è lo strumento dialettico attraverso il quale si afferma che c’è sempre qualcosa di più importante, grave, urgente, rilevante di cui occuparsi: lo scopo essenziale di questo modello comunicativo, assai abusato in politica e da numerosi personaggi che detengono ruoli decisionali e di potere, è quello di distogliere nell’immediato l’attenzione dai problemi per i  quali non si hanno strumenti,  intenzione e interesse a trovare una soluzione. Il benaltrismo raggiunge ottimi livelli di gestione delle masse nel momento in cui riesce, non solo a distrarre, ma anche a creare dei veri e propri movimenti a favore del “ben altro”, come se Pino avesse convinto Gino a fare sciopero per il suo caffè nonostante lui non lo bevesse . Nei contesti professionali viene adoperato per screditare la protesta e l’attività sindacale o per disaggregare i lavoratori che tendono ad unirsi in nome di una problematica  ritenuta scomoda e se non si arriva alla strumentalizzazione estrema sopra descritta è  facile che si arrivi alla stasi o all’eterna procrastinazione di un' azione reale. La forza di metodo sta nel fatto che ci sarà sempre ben altro a cui pensare e che al “c’è di peggio” non c’è fine, come non c’è limite all’escogitare qualcosa che sia sempre e comunque più importante di te, di me, delle nostre vite, se serve a migliorare la vita di qualcun altro.
Di esempi in questo caso ce ne sono davvero troppi e per par condicio mi astengo dal riportarli, lascio a voi cari pazienti lettori il gusto di smascherare i benaltristi e non  avreste tutti i torti nel caso mi rispondiate  che ci sono cose più importanti a cui pensare.
Elena Pascolini



[1] La definizione che da il Dizionario di Italiano Garzanti è: Il termine benaltrismo, di cui il suffisso ismo identifica la dimensione di teoria e ideologia, è un neologismo coniato nell’ambito del linguaggio politico italiano a partire dall’espressione colloquiale “ci vuole ben altro”. Si tratta dell’atteggiamento (o della teorizzazione vera e propria) di chi tende a collocare l’origine e la soluzione di un problema “al di fuori” del discorso che si sta affrontando, in un ambito diverso rispetto a quello di discussione. Benaltrismo è dunque quello di chi, a fronte di proposte che vengono fatte, afferma “ci vuole ben altro”; ma è anche quello di chi, quando viene sollevata un critica, sostiene che “i problemi sono ben altri.

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