E’ difficile parlare di un concetto complesso come la paura
senza cadere in sciatte semplificazioni, potrei onestamente
dire che ho proprio paura a trattare questo argomento.
Credo che sia necessaria una premessa e un' evoluzione del
discorso nei prossimi numeri: proporrei di parlare di paura per tutta l’estate,
così possiamo prepararci meglio ad un lungo inverno di crisi e di ansia da
perdita del lavoro.
Come primo passo propongo una sintetica descrizione di cos’è
in effetti la paura: possiamo definirla un’ emozione primaria funzionale ad
attivare una serie di risposte organiche e comportamentali atte alla difesa
dell’incolumità del soggetto. Immaginiamo che il nostro cervello sia un sito
archeologico: in superficie troviamo i reperti più recenti della nostra
civiltà, probabilmente bottiglie di plastica e ciabatte di gomma, mano a mano
che scendiamo in profondità affioreranno resti di strutture murarie
appartenenti ai secoli scorsi, ma se scaviamo ancora ecco comparire le
immancabili rovine romane e ancora più in basso possiamo trovare resti di
insediamenti più antichi fino ad arrivare a primitivi basamenti rupestri. Così
il sistema nervoso centrale ha in superficie la corteccia primaria, evoluta
principalmente nell’essere umano, e negli strati più interni ha sistemi tipici delle specie animali meno evolute,
fino a raggiungere il sistema limbico che non è altro che il “cervello del
rettile”, semplicissimo ma efficace a garantire la sopravvivenza delle
lucertole fino ai giorni nostri e una lucertola sa bene come comportarsi di
fronte alla paura: arriva il gatto, lo vede, lo stimolo sensoriale colpisce l’amigdala (piccola mandorlina interna al sistema limbico), l’amigdala
scarica ormoni come l’adrenalina che hanno il preciso compito di attivare
risposte immediate che coinvolgono l’attivazione istantanea di muscoli e
circolazione sanguigna, il tutto si risolve in un istante tra l’arrivo del
gatto e la fuga della lucertola. Tutto ciò è avvenuto “senza pensiero”, ossia
come riflesso istintivo, ma il
risultato apprezzabile è che la lucertola ha salva la vita. Nel nostro caso
avviene una reazione del tutto simile ma la sostanziale differenza sta in due
fattori che fanno di noi animali evoluti: il primo è che i nostri “gatti” sono
nella maggioranza di casi pericoli dai quali non si può sfuggire, la seconda è
che la nostra neo corteccia dice all’amigdala che non possiamo reagire
come lei vorrebbe, ossia con attacco o fuga. Se la minaccia è un velato ricatto
o un sottinteso senso di precarietà volutamente innescato da un gatto con gli
occhiali che ha il potere di decidere sulla nostra vita, sul nostro futuro o
sul nostro posto di lavoro, ecco che tutti gli ormoni, che la primitiva
amigdala ci mette in corpo per innescare la nostra reazione, vengono inibiti
dalla corteccia primaria, piena di cultura, buon senso e saggia vigliaccheria.
Il risultato è che di fronte alla maggior parte di paure non possiamo scappare,
dobbiamo rimanere ben piantati alla nostra scrivania mentre i nostri ormoni del
terrore gironzolano nel nostro corpo trovando un'unica via di
sfogo: lo stress.
La mia principale paura in questo momento è che un neuropsichiatra
legga questo mio imperdonabile saggio di neurofisiologia, ma era
d’obbligo gettare una piccola fondamenta di un problema molto più complesso di
cui continueremo a discutere: il sistema limbico in comune non basta ad
avvicinare il nostro mondo a quello delle lucertole, il nostro habitat è ben
più complesso, abbiamo nemici ben più subdoli e sottili di un gatto annoiato,
abbiamo problemi quotidiani che purtroppo non si risolvono nel mangiar formiche
e nel prendere più sole possibile e soprattutto, alla più brutta, non ci è dato
di smollare la coda e nasconderci in un buco.
1 commento:
Ah dici non si può proprio scappare in un buco??? ;)
Cesca
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