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La Societologia è la scienza dei luoghi comuni, nasce infatti nelle piazze, nei bar, nelle sale d'aspetto, nei social network e in tutti i luoghi dove le relazioni umane intessono la loro collettiva e mutevole visione del mondo.

lacquacalda è un'osservatorio sulla salute sociale, tasta solo il polso, non prescrive medicine, non fa diagnosi, per cui è anch'esso sintomo di un male sociale: quello di voler parlare ad ogni costo anche quando non si ha nulla da dire.

La diligenza del buon padre di famiglia

"Chiunque non ha un buon padre
dovrebbe procurarsene uno."
Friedrich Nietzsche

Orfani di guide, di legalità, di cultura, di futuro, di certezza, di identità, di idee nuove, di ottimismo e di educazione  brancoliamo alla ricerca di un padre che bonariamente ci sculacci con una mano mentre con l’altra ci  offre le caramelle.  Siamo fatti così: sappiamo che nelle nostre vene scorre il sangue di una millenaria civiltà meticcia e poco incline all’ordine e alla disciplina, ma affezionata all’idea che ci sia sempre qualcuno pronto a levarci dai pasticci. Accettiamo anche di essere redarguiti severamente e l’umiliazione di una cinghiata sulle chiappe se poi a seguire c’è il perdono e il permesso di tornare a scorazzare in cortile con gli amici, fino alla prossima pallonata sul vetro dei vicini.
  In effetti  l’affettuosa severità del padre di famiglia è ciò che si avvicina di più a ciò che dovrebbe essere un capo ideale: fermo, affettuoso, disposto a comprenderci ma anche a indicarci la retta via, complice quando occorre e severo quando disobbedire può costarci caro, esempio e modello di vita da emulare, nella speranza di diventare un giorno genitori degni della stima e del rispetto dei nostri figli.  Quanti leader conosciamo relativamente vicini a questo profilo umano? Pochi. Forse nessuno.

Dobbiamo arrenderci all’evidenza che la maggior parte di persone che ricoprono ruoli di potere non posseggono i requisiti  che fanno di un uomo un capo. In molti casi,  le vie d’accesso ai vertici, seguono logiche ben diverse dalla semplice attitudine: possiamo affermare, senza offendere nessuno, che abnegazione, testardaggine, conoscenze, mirata ossequiosità, competitività, parentele e aspettative personali hanno un peso maggiore rispetto all’assertività, al carisma e purtroppo anche al sapere;  più l’organizzazione è  gerarchica  e particolarmente organizzata, più questo fenomeno è evidente. Ciò nonostante può capitare di trovare dirigenti nei quali convergono le doti del buon padre di famiglia e solitamente tutto l’organico beneficia in modo evidente di tale stile di comando.

L’argomento leadership meriterebbe una lunga trattazione, molte precisazioni e alcune premesse prima di addentrarci in modo spavaldo in un terreno così complesso, ma spero che mi perdoniate le necessarie semplificazioni dovute sia allo spazio sia alla paura di annoiare:  uno storico studio di Kurt Lewin[1] descrive come nei gruppi formali o informali emerga  spontaneamente la figura di un leader riconosciuta e implicitamente  incoraggiata dai membri  a svolgere il ruolo di guida, le caratteristiche di tale individuo coincidono con quelle sopra riportate relative al buon padre di famiglia, tali qualità si riassumono con il termine di autorevolezza, ossia la capacità di guidare, unire, incoraggiare, mediare i conflitti, coinvolgere e coordinare il gruppo, garantendo equilibrio e   stabilità,  meritando rispetto e credito grazie alla propria personalità e condotta.  Come già detto tale figura non coincide necessariamente con il leader istituzionale, ossia con colui che sulla carta detiene effettivamente il potere decisionale.
  La storia dell’organizzazione del lavoro sottolinea  come il fattore umano sia coesistito parallelamente alle esigenze strumentali,  alienanti e fredde, imposte dalle rigide esigenze del profitto e della produzione, permettendo alle persone di tollerare lo stress, moderare l’ostilità, intessere relazioni di mutuo aiuto, sostegno e coalizione al fine di “sopravvivere emotivamente” in contesti molto ostili all’espressione di sé e della propria individualità. Se consideriamo che in tali ambienti passiamo la maggior parte del nostro tempo, comprendiamo come tali dinamiche siano vitali alla sopravvivenza psicologica dei lavoratori. Nel caso in cui un contesto lavorativo non gode dei servizi di un buon leader, il gruppo tende ad eleggere al suo interno una figura che ne faccia le veci, chiaramente tale figura non possiede lo  stesso potere del leader formale, ma in molti casi può determinare l’andamento del clima aziendale e anche della produzione, in modo più significativo della dirigenza ufficiale. Quasi sempre tali persone, una volta individuate dal re Giovanni della situazione, vengono immediatamente neutralizzate, in quanto ritenute pericolose e destabilizzanti.
 La storia della Sociologia del Lavoro racconta anche di quanto breve e mutilata sia la vita e la prospettiva economica delle aziende che adottano la frusta, il dividi et impera, il ricatto e capi eccessivamente autoritari come formula di gestione delle risorse umane; al contrario,  una  leadership conforme al nostro “buon padre di famiglia”,  sia in politica che nel mondo del lavoro, tende a raggiungere in modo più efficace gli obbiettivi, a mantenere coeso il gruppo e a gestire efficacemente sia le crisi che i conflitti: è colui che anche nella bufera, se proprio non riesce a salvare la nave, almeno salva i passeggeri; al contrario osserviamo  sempre più spesso    navi in preda alla burrasca e destinate  alla deriva, piene di capitani che brindano con champagne scaduto, aspettando di affondare o di morire di fame appollaiati su uno scoglio, continuando a ripetersi che si è naufragati per colpa dei passeggeri che hanno intasato i water con la carata igienica.

Un padre prima di punire insegna e punisce solo dopo avere perdonato, perché sa che è sempre complice e responsabile dell’errore del figlio  e che l’esempio vale più delle parole, sa che nei periodi difficili tutta la famiglia deve sacrificarsi ma l’affetto, l’ascolto e il rispetto non si sacrificano mai, anzi, li si serve a tavola al posto della bistecca; un buon padre di famiglia (potrebbe essere anche una buona madre di famiglia, non cambia nulla),   insegna ai suoi figli a superare i pregiudizi  e le discriminazioni, perché sa che solo così saranno persone libere e capaci di scegliere da sole, un buon padre di famiglia sa che regalare il giocattolo per farsi perdonare la sua assenza, porterà i suoi figli ad amare troppo le cose e poco le persone, il buon padre di famiglia è il leader che tutti vorremmo e non abbiamo e che tutti vorremmo essere e non siamo perché,  in effetti,  quanti  padri conosciamo relativamente vicini a questo profilo umano? Pochi. Forse nessuno.
Elena Pascolini  



[1] Lewin K.(1948), I conflitti sociali. Saggi di dinamica di gruppo, Franco Angeli, Milano, 1972

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ti sembra che prendere a cinghiate un bambino, sia la dote di un capo?

certo, è bello essere presi a cinghiate e poi correre gioiosi a giocare in cortile.

elena, ma ti rileggi quando scrivi?

diana corsini

Elena Pascolini ha detto...

Perdonami Diana se la metafora non è risultata chiara, ma ovviamente non si parlava nè di bambini nè di cinghiate reali. Se hai avuto la pazienza di leggere il resto del testo, risulta poi chiaro quanto io ritenga inidoneo questo metodo, sia sul piano metaforico che reale.
Grazie per il tuo commento.
E.P.